Centro Espositivo Comunale

ORIZURU645

SaturdaySat. 10 SeptemberSep. - FridayFri. 21 OctoberOct. ore 17:00 - 22:00

Possa chi porta fiori questa notte, avere la luce della luna (Takarai Kikaku)

La carta ha sempre e da sempre rappresentato un mondo straripante di fascino sin dalla sua comparsa. Nel 105 d.C., grazie a Tsai Lun, dignitario della corte imperiale cinese, l’origine della carta ha ufficialmente scavato un percorso parallelo alla vita dell’uomo, di fatto segnando uno dei capitoli più importanti per la storia dell’umanità e per la conoscenza della stessa. Probabilmente, se ci mettessimo a riflettere sui suoi infiniti utilizzi, inizieremmo una sequela di esercizi mnemonici senza precedenti, con ottima probabilità di non giungere mai a una sponda, proprio per le sue innumerevoli caratteristiche d’uso. Personalmente, la carta mi ha sempre affascinato non solo per i suoi contenuti e per la sua diretta discendenza dalla natura, ma soprattutto per il suo interfacciarsi con gli elementi della natura stessa; la carta alimenta il fuoco rapidamente e si trasforma, riesce ad assorbire e a contenere l’acqua fondendosi in essa, si piega e si modella di fronte all’intangibilità dell’aria e porta con sé tutte le radici materiche della terra, in una vita silenziosa praticamente perfetta. Il suo impiego è poi strettamente legato all’utilizzo delle mani e della mente; racchiude in seno lo spirito di quello che siamo, e nel corso dei tempi ha raccontato le vicende di quello che siamo stati, e forse, voglio pensare in maniera romantica che essa costituirà in futuro ancora il pilastro della nostra memoria collettiva. I dibattiti sulla labilità del multimediale di fronte alla pesante forza del cartaceo si sprecano, e si rincorrono in digressioni filosofiche senza sosta. ‘La carta è paziente’, asseriva il filosofo francese Joseph Joubert, mentre se riflettiamo sul frenetico godimento morboso che sprigiona oggi il multimediale, ci accorgiamo sin da subito che l’intangibile e il celere, sostituiscono il paziente e il rituale dono della carta, persino nei suoi significati. Paziente e rituale è inoltre il gesto, e lo studio dello stesso nelle culture orientali, soprattutto in quella giapponese. Nelle mani e nella mente di Marica Fasoli, artista in continua evoluzione sperimentale, coesistono in perfetta sinergia entrambe le caratteristiche. Provenendo da un trascorso pittorico dedito all’iperrealismo che l’ha fatta conoscere al grande pubblico grazie a due filoni di importante successo come gli Invisible People e i 3dipinti, l’artista ha mano a mano posto al centro del suo pensiero il tema degli origami con un iperrealismo ancora più elevato e maturo, che di fatto rappresentano la forma esteticamente più elevata ed aggraziata che può assumere la carta; è probabilmente proprio per questo suo ancestrale legame con la carta stessa e per la paziente ritualità che essa trasmette, che Marica Fasoli ha realizzato tutta una serie di opere pittoriche dedicate a questa delicata e spirituale forma d’arte. Il termine origami, significa letteralmente infatti arte di piegare la carta, dal giapponese oru/piegare e kami/carta, e la sua pratica è strettamente collegata alla religione shintoista, grazie soprattutto alla sua profonda valenza sacrale. Un origami è simbolo nella cultura giapponese di rinascita e di una ripartenza del ciclo vitale che porta al suo interno speranza e augurio. Il grande lavoro della Fasoli dedicato agli origami, è un vero e proprio nostos sulla carta, un ritorno alle origini, che spinge l’aspetto finale e definito di una costruzione artistica solitamente costituita in forma animale, a una via di ritorno volta al decostruirsi, lasciando cioè che la carta da un modello tridimensionale torni ad essere letteralmente nuda, piana, sinteticamente bidimensionale, ma portando con sé i segni delle piegature del suo precedente stato di utilizzo. Il lavoro dedicato agli origami, per Marica Fasoli è un riportare la carta a una neutralità assoluta, de-costruendo cioè le geometrie, ma mantenendo impressi i segni di un passato ancora ben chiari, in un percorso contrario a quello che portò Joseph Albers durante il periodo della Bahuaus a studiare coi suoi studenti la costruttività e il potenziale della materia, nei suoi limiti strutturali. Nella nota scuola di studio d’arte e design tedesca che ebbe grande sviluppo tra il 1919 e il 1933 infatti, Albers sfidò i suoi studenti a lavorare sulle proprietà dei materiali a partire dalla carta, sfruttandone potenzialità dormienti e limiti materici, soprattutto andando oltre la sua caratteristica visibile, e col risultato di ottenere una liberazione nel pensiero creativo, volta all’esplorazione tridimensionale della carta stessa. Nel lavoro pittorico della Fasoli i limiti strutturali vengono invece sciolti in una geometria inversa, e si dispiega – libera - tutta la matrice matematica dell’origami in un nuovo piano di progettazione, sul quale evidenziare con chirurgica e delicata mano, ogni cromatismo necessario all’enfatizzazione delle stesse piegature. Marica Fasoli traccia così nuove profondità sulla carta, dinamiche e avvolgenti, in una matrice geometrico-visiva che porta l’osservatore a esplorare curioso e stupefatto ogni singolo centimetro dell’opera, e rilasciando tutto quel senso paziente e rituale che la sfera spirituale degli origami, tramite la carta, riesce come detto a trasmettere. Nella forza impattante degli origami dipinti dall’artista, c’è altresì una delicatezza di pensiero che incanta, e ti trasporta tra flauti giapponesi e fior di loto in un lungo viaggio fatto di emozioni, adagiato su tradizioni lontane e racconti, ben addensato di storia e di storie nipponiche. Una in particolare ha ispirato l’artista per questo lavoro facendola riflettere a lungo, la drammatica storia di Sadako Sasaki, la bambina giapponese che all’età di due anni sopravvisse alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki insieme al fratello Chizuku. Sadako, anni dopo il disastro nucleare, all’età di dodici anni, si ammalò e morì a causa di una grave forma di leucemia contratta a causa delle radiazioni assorbite. Durante il periodo di ricovero ospedaliero, durato circa un anno, il fratello Chizuku narrò a Sadako la leggenda giapponese delle mille gru, secondo la quale se si fosse riusciti a piegare mille orizuru, cioè mille gru di carta, si sarebbe potuto esprimere un desiderio per sé e per il mondo intero. Il desiderio di Sadako di guarire e di sperare per il mondo un futuro di pace e senza più guerre purtroppo si spense il 25 ottobre del 1955, dopo aver piegato 644 orizuru. Una storia che palesa d’un tratto, spiazzandoti, i significati estesi e senza schermi dei termini vita e morte, in questo caso inquinati, mischiati e derisi dalla scellerata e squilibrata crudeltà dell’uomo. Nell’assoluta drammaticità della vicenda di questa piccola bambina, e senza trascendere in personali ed emotive digressioni, cerco solo di immaginare - purtroppo senza riuscirci -, quanto siano state pazienti e rituali le piccole mani di Sadako nella piegatura della carta a sua disposizione, per definire e finire i suoi origami della speranza. Ogni piegatura millimetrica, persino sulle scatole dei medicinali quando la carta non era disponibile, sono certo, ha fatto volare le sue gru sempre più lontano. Attraverso questo racconto che ha ispirato l’artista, e nel gesto delle piegature e delle sue dispiegature, le opere della Fasoli prendono forma e si estendono verso un piano dinamico che le distacca dalle cornici, rendendole eterne e percorribili in tutta la loro profondità. Nonostante le opere della Fasoli siano con ogni evidenza un elegante e splendido conclamarsi di estetica e stile, in un tripudio di colori avvolgenti e mai soffocanti, ogni loro singolo tratto dipinto porta a soffermarsi sul contenuto che queste traghettano all’occhio dell’osservatore, e sulla riflessione che l’opera stessa riesce a raccontare della sua storica tradizione. Da questo concetto è iniziato il percorso genetico di questa mostra, orizuru645, da un confronto cioè sui contenuti e sugli obiettivi che essi possono raggiungere, proprio come un origami nelle sue due forme vitali e contrapposte che passano da una nuda materia piana a un’articolata e razionale geometria creativa. Grazie alle opere dell’artista e alla sua squisita delicatezza, da tutto questo è nato un ponte; un lungo passaggio sospeso e fatto di carta che unisce Cecina e il suo Centro Espositivo, al Memoriale della Pace di Hiroshima. Un ponte che in questo particolare momento storico, nel quale con preoccupante leggerezza si dimentica i drammi del nostro passato mettendo a rischio il nostro futuro, vuole essere un punto di partenza per un importante messaggio di pace, incastonato in questo caso tra le magistrali piegature dipinte della Fasoli, e in quella seicentoquarantacinquesima gru che la piccola Sadako non è mai riuscita a piegare e a far volare. 

 

 

Alessandro Schiavetti
Curatore della mostra

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Marica.jpg Marica Fasoli

Marica Fasoli nasce a Bussolengo (Vr) nel 1977. 

Dopo essersi diplomata nel 1995 come Maestra d'arte presso il Liceo Artistico Statale di Verona sezione Accademia, nel 1997 si specializza in Responsabile nella Conservazione e Manutenzione di manufatti artistici su tavola e tela con lode presso gli Istituti Santa Paola di Mantova.

Nel 2006 ha inoltre conseguito la specializzazione in Anatomia Artistica presso l'Accademia “Cignoroli” di Verona dove è stata docente, per diversi anni, del corso libero di pittura iperrealista.

Dopo essersi dedicata per molti anni al restauro, dal 2006 ha intrapreso un percorso che l’ha portata ad esprimere la sua ricerca artistica nell’ambito figurativo iperrealista, arrivando alla formulazione di due filoni espressivi: gli “Invisible People” e i “3dpinti”, in cui il tema del tempo legato alle stropicciature della carta e della stoffa è centrale. 

Dal 2015 si distacca dalla rappresentazione figurativa e didascalica della realtà per iniziare un processo di creazione/decostruzione incentrato sulla costruzione manuale che vede il suo apice negli Origami: inizialmente riprodotti su tela, questi lavori trovano successivamente la loro piena realizzazione direttamente sul supporto cartaceo, a simboleggiare il filo rosso della sua ricerca basata sulla carta. 

Vincitrice dei premi speciali Vergani e Sug@r(t) House all'Arteam Cup 2018, del Premio Lefranc & Bourgeois a Paratissima Torino 2017, della Coppa Luigi al Premio Nocivelli 2016 e del Premio Fondazione Toniolo nel 2011. 

I suoi lavori sono stati esposti nelle principali fiere a livello mondiale come Context Art Miami e Art Miami, Yia ArtFair a Parigi, Art New York, Art Wynwood, Central Art Hong Kong, WopArt Lugano, Art Verona e GrandArt a Milano. 

Ha esposto alla 54. Biennale di Venezia a Villa Contarini (Padiglione Veneto/Italia) e al Palazzo della Permanente di Milano per il Premio Mondadori nel 2011, e in numerose sedi istituzionali tra cui il Museo Internazionale della Musica di Bologna, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo in Torino, il Museo Pecci a Prato, il Mambo Villa delle Rose a Bologna, i Musei di Santa Giulia a Brescia, Rocca Paolina a Perugia, la Casa del Mantegna a Mantova, Casa Testori a Novate Milanese, il MAM a Gazoldo degli Ippoliti, il Museo dello Zucchero a Nizza Monferrato, la GAM di Catania, il Polo Museale Zona Conce a Fabriano, il Museo Marino Marini a Firenze, la Fondazione Dino Zoli a Forlì, il Museo Miniscalchi Erizzo a Verona, Palazzo Martinengo a Brescia, Il Mauto a Torino, la Fondazione L’Arsenale a Iseo, Castel Sismondo a Rimini.

Una delle sue opere è stata utilizzata per la copertina dell'ultimo libro di Timothy Radcliffe, best seller internazionale.

Vive e lavora a San Giorgio In Salici (Verona, Italia).

Marica Fasoli

Centro Espositivo Comunale

Via Cavour, 3 Cecina(LI)